Venerdì, 29 Marzo 2024

L'Armenia

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Il territorio montuoso ha spesso il colore del miele in cui il sole penetra scaldando le pietre rendendole parte viva del paesaggio in cui fantastiche chiese arroccate creano un’atmosfera di mistero accentuata da quel silenzio “mistico” che suscitano i luoghi abbandonati alle intemperie e alla natura. Così appaiono a distanza i monumenti armeni, chiese e monasteri; avvicinandosi si scopre che non sono per nulla abbandonati e percepiamo la consapevolezza di esploratori di un mondo più onirico che reale. Non si può pensare di andare a cercare gli Armeni sul Musa Dag, la montagna di Mosé, al centro del tentativo utopico descritto da Franz Werfel nel suo libro. Il Musa Dag è quel luogo dove il “popolo perseguitato” bruciò tutte le sue speranze di vivere in pace. Neppure è pensabile di trovare gli Armeni in quel territorio che fu loro, come ci racconta Senofonte, che l’attraversò nel V secolo a.C. nell’Anabasi (viaggio all’interno del Paese), con i suoi mercenari in un disperato viaggio di ritorno da una missione fallita. Per trovare gli Armeni si deve andare nella Repubblica Armena, già parte delle Repubbliche Sovietiche e ora Nazione indipendente, anche se in parte sovietizzata. La terra d’origine degli Armeni, l’Ararat, il loro monte sacro dove si posò l’Arca di Noé durante il diluvio universale, è rimasta in Turchia, nell’Anatolia orientale; territorio che fu loro per molti secoli. L’Ararat è “miraggio” invalicabile, che gli Armeni possono ammirare solo dal monastero fortificato di Khor Virap, non lontano dal confine turco, ed è una meravigliosa apparizione. A Khor Virap fu imprigionato Gregorio l’Illuminatore, prima di diventare il fondatore della Chiesa Ortodossa Armena. L’Armenia fu il primo paese ad adottare la fede cristiana come religione di Stato, le sue chiese risalgono al X massimo al XIII secolo, gli Armeni erano mercanti e la via della seta attraversava il suo territorio in una tolleranza che solo il “viaggiare” è capace di accordare ai popoli incontrati sul suo cammino. Il popolo armeno è di ceppo ittita ed ha come antenato il popolo Urartu che deriva il suo nome dal monte Ararat.

Le piccole chiese, i raccolti monasteri dell’architettura tipicamente armena ci trasportano in un mondo che a noi europei richiama l’arte bizantina (in parte é anche vero), ma una Bisanzio interpretata da un popolo immerso nella fede, senza fanatismi, dove il bello trionfa anche nella semplicità di simboli conservati come segni preziosi, dove non è stata dimenticata la tradizione orientale, soprattutto selgiuchide. Ed ecco allora il monastero di Geghard “scolpito” nella roccia viva, Noravank in fondo ad un canyon, si mostra dall’alto come uno scrigno che racchiude e protegge le sue chiesette come gioielli preziosi. Meraviglierà l’assenza di dipinti all’interno delle chiese. Gli Armeni erano un popolo colto già nell’antichità, il monaco Masrop Mashtoc nel IV sec. aveva creato un alfabeto derivato dal sanscrito per tradurre la bibbia. Da allora le famiglie si facevano fare costosissime copie miniate dei libri sacri che diventavano patrimonio della famiglia, quando per il troppo uso diventavano illeggibili, gli facevano il funerale e li seppellivano nel cimitero: per questo non c’era bisogno di affrescare le pareti delle chiese con episodi biblici, quelle storie le conoscevano dalla lettura dei loro manoscritti. A Erevan potrete visitare la biblioteca “Matenaradam” dove si custodiscono gelosamente questi antichi libri disseppelliti.

Echmiadzin è la santa sede della Chiesa armena, dove vive il Katolikos, il papa degli ortodossiarmeni. La cattedrale è molto antica, ma la modernità ne ha cambiato l’aspetto. La domenica mattina si può assistere alla suggestiva processione del Katolikos che terrà la messa solenne; non esiste messa che non sia cantata e i canti si alzano solenni e armoniosi verso un cielo purificato dal sacrificio del popolo perseguitato dai turchi che organizzarono per loro un viaggio di sterminio verso il deserto della Siria, provocando la morte di più di un milione di persone: fu il primo genocidio della storia.(Gabriella Pittari)